Pippone dell’otto marzo

Qualche mese fa, dopo il funerale di mia nonna Chicchì, ho buttato giù un pensiero sulle donne della mia famiglia. È rimasto sul mio desktop finora, non sapendo bene che farci: per loro ho solo parole belle da spendere, ma in casa non siamo abituati a mostrare affetto e l’idea che possano leggere mi mette tuttora a disagio. Oggi, però, è la festa della donna. Mi interessa particolarmente? No, la disparità di trattamento me la ricordo ogni volta che penso al mio posto nel mondo del lavoro. Faccio qualche esempio:

– A 16 anni feci un colloquio per lavorare da Intimissimi e la commessa mi chiese se usassi contraccettivi e se valutassi l’aborto come opzione in caso di gravidanza indesiderata;

– A 24 anni mi fecero i complimenti perché, femmina, giovane e laureata, era strano non vedermi in ufficio a scaldare la sedia;

– Durante un colloquio per un tirocinio da 450 euro al mese in un salumificio a Brisighella mi chiesero se per me fosse più importante la carriera o la famiglia;

– Ho 28 anni e mi domando: mi conviene dire che convivo? Posso dire che voglio riavvicinarmi a casa? Significa che valuto di mentire per ottenere la stessa considerazione che ha un uomo.

Tirar fuori questi aneddoti, mi dà la stessa sensazione di quando interrompo una riunione perché ho un problema che non riesco a risolvere da sola: mi vergogno sempre un po’. Questo è il vero motivo per cui la festa della donna è ancora necessaria: le maestre e i maestri oggi devono raccontare ai bambini che le loro compagne di classe hanno uguali diritti, e a loro che la parità va pretesa, non richiesta. Pretendere un diritto non è un disturbo, è un dovere civico. Ci sono episodi in cui le sfumature non valgono, le contestualizzazioni non servono: chi ti sminuisce in quanto donna sta sbagliando e basta; se lo fai notare, non ti stai comportando da vittima, stai contribuendo a creare un mondo migliore. Basta, vi lascio qua sotto un paio di righe sulle donne della mia famiglia, che sono tutte meravigliose.

Mia mamma si chiama Gianna Giovanna Giuseppina e già per questo merita una pacca sulla spalla. Parla italiano, inglese, francese, tedesco e capisce perfettamente il dialetto romagnolo, anche se è abruzzese. Suo padre le disse “Se esci da quella porta per andare da Rivola, non tornare” e lei è se n’è andata. Ha smesso di girare in moto con mio babbo a 67 anni, solo perché la moto è finita sotto una macchina.

Mia zia si chiama Donatella, è un’attrice, una pasticcera, la sua risata e i suoi capelli ricci sono quelli di una ragazzina. È rimasta vedova a 53 anni e ha fatto mille lavori; i momenti di difficili sono durati anni, ma neanche questo ha spezzato la sua personalità. So che non è possibile, ma a me sembra sempre felice.

Mia cugina Marta è un architetto con partita iva, nonché la perfetta figlia di zia Doni: con lei condivide la creatività e il buon gusto, in cucina, nel lavoro e nei vestiti. Non l’ho mai vista vestita di nero, fa degli origami che sono dei veri e propri oggetti d’arredamento. Nonostante quando entri in una stanza sia impossibile non notarla, ho idea che ami con riservatezza, e molto a lungo.

Irene è mia cognata, originaria di un paesino a un’ora da Iseo. Pensava che non avrebbe mai lasciato casa, stava bene lì, a settecento metri sul livello del mare. A 18 anni si è trasferita a Venezia per l’università, a 24 era in Cina, a 30 in California, a 36 in Delaware. Adesso è a San Casciano di Val di Pesa.

Manuela è l’altra mia cognata. Di solito si dice “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, ma in questo caso credo sia più adatto “Se mio fratello si ricorda come si chiama, è perché c’è Manuela a dirglielo”. Paziente e affettuosa con tutti, sorride pure con il corpo: balla la samba!

Daniela è la mamma di Fabio. Piccolina, dà la paga a tutti i sedicenni che tentano di fregarla durante i compiti online. Ironica, è sopravvissuta ad un cancro molto raro e in effetti sembra sempre più forte di tutto quello che le si para davanti.

Mia nonna Chicchì era un po’ una stronza, devo dirlo. Però, forse, la vecchiaia lo è stata di più e purtroppo mi ha nascosto le cose che mi piacevano di lei. Nonna non è mai uscita di casa senza rossetto, sempre elegante nei suoi cappotti lunghi. Come tutte le nonne, per i suoi nipoti aveva sempre pronto da mangiare qualcosa di buono, sempre in abbondanza, meglio se piccante.