Niente di vero, tranne il tatuaggio

Ho finito Niente di vero di Veronica Raimo. Le parole migliori per descriverlo sono della libraia che me lo ha venduto: “È divertente, o lo è se hai superato i trenta e sei sopravvissuta”. Sopravvissuta alla famiglia, perciò puoi ridere delle sue disfunzioni e di quelle che ti ha lasciato.

Il 21 giugno sarebbe stato il compleanno di mia nonna Chicchì, proprio il giorno in cui ho conosciuto un ragazzo che per la sua nonna ha scritto un libro. “La vado a trovare tre volte al giorno, per fortuna è autonoma nel lavarsi e fa ancora la spesa”. Anche noi figli e nipoti passavamo spesso da mia nonna, forse troppo: a un certo punto ha nascosto un martello all’ingresso. Anche a lei non mancava l’autonomia.
Mia nonna mi diceva sempre di non abbracciare le persone: “Cos’è tutta questa confidenza?!”, ogni volta che toccavo qualcuno che non avesse il mio stesso sangue. Il 21 giugno di qualche anno fa ho incontrato di nuovo D. e gli ho dato così tanta confidenza che sono salita nella sua auto, gli ho detto “accosta, devo fare pipì” e poi lui si è tenuto le mie mutande.

La mia prozia Amina, sorella di Chicchì, era una donna moderna, voleva che viaggiassi e scriveva poesie, nonostante avesse frequentato le scuole fino alla seconda elementare. Per lei lo sport era molto importante, diceva che avrei dovuto praticare judo o boxe: per tenere lontano i maschi e mantenere il mio prato sempre verde. Mia nonna era d’accordo, infatti non le è mai andato giù F., con cui vivo nel peccato dal 21 giugno di otto anni fa. Non so bene come mi abbia raggirato per convincermi a traslocare in un condominio della provincia bolognese anziché rimanere a Granada, ma bisogna ammettere che mantiene il mio prato ben curato.

Mia madre, figlia di Chicchì e nipote di Amina, odia i tatuaggi, e di certo le altre due l’avrebbero spalleggiata in questa lotta contro tali segni del diavolo. Non che mia madre sia devota al Signore quanto loro, ad accomunarle è il principio secondo cui qualunque tentativo di autodeterminazione dei figli va frenato e contrastato a prescindere, regola che vale almeno per i genitori nati prima del 1968. Ebbene, la mia mamma è stata la prima che ho chiamato ieri, 21 giugno 2022, quando a trent’anni compiuti mi sono tatuata lo scheletro di un velociraptor. La nonna e la prozia le ho pensate mentre il tatuatore (quello che ha scritto un libro dedicato a sua nonna) lavorava una coscia che non ha mai tentato minimamente di nascondere il mio rifiuto per qualsiasi attività fisica. Riflessa nello specchio c’ero io, stesa e in mutande, circondata da tre uomini: uno con le mani su di me, uno che faceva le foto, uno che probabilmente si stava chiedendo se anche quella sera gli avrei lasciato le mutande.

Una volta tornata a casa, F. ha voluto sincerarsi che la mia pelle non fosse troppo infiammata e mi ha aggiustato la fasciatura. Si è piegato di fronte al mio dinosauro e, mentre spalmava la crema sopra gli artigli, ha detto: “Benvenuto custode del prato, mi aspetto una buona guardia: qua ogni tanto vengono i ladri”.

 

 

Grazie, Elia, per questo tatuaggio bellissimo.